Los italianos tienen un debate bien interesante respecto al uso de las mallas GeoTextiles, muy al contrario de lo que nos dicen sobre el hecho que es una gran opción para intentar salvar los glaciares, esta iniciativa privada con un gran interés económico ha levantado las voces de protesta de científicos, ecologistas y una parte de la población sensibilizada.

En el diario italiano La Repubblica encontramos un articulo que aborda el tema del cubrimiento de los glaciares con mallas GeoTextiles, este articulo del 22 de enero de 2022 y el cual puede ser consultado en el enlace: https://www.repubblica.it/green-and-blue/2022/01/26/news/glac-up_ghiacciai_greenwashing_critica-335180003/ explica detalladamente la posición en contra de esta practica por parte de una empresa privada (Start Up).

Les dejo por acá el texto del reporte y más abajo un resumen en español, saque UD. sus propias conclusiones


Una startup italiana copre i ghiacciai con i teli per salvarli, ma gli scienziati non sono d’accordo

di Jaime D’Alessandro


Il Ghiacciaio Presena (foto: Francesca Ferrari) 

La pratica di usare materiali geotessili, per preservare la superficie nevosa durante i mesi più caldi, in certi contesti non è approvata dai ricercatori. Specie quando si pretende di salvare l’ambiente. Di qui l’accusa a Gluc-up di greenwashing

26 GENNAIO 2022AGGIORNATO ALLE 12:33 4 MINUTI DI LETTURA

Sono partiti con l’intenzione di salvare i ghiacciai alpini, anzi di farli adottare, ma il modus operandi non è piaciuto affatto a chi li studia da sempre. La startup milanese Glac-Up, fondata da quattro 23enni formatisi alla Bocconi di Milano, a poco più di un anno dalla sua nascita sta già affrontando una prima crisi. Alcuni giorni fa una lettera firmata da 40 ricercatori e accademici italiani di otto istituti differenti, fra i quali il Comitato Glaciologico Italiano e la Società Meteorologica Italiana, hanno bollato l’operazione come «greenwashing», neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo o ambientalismo di facciata.

Confronto Fotografico Ghiacciaio Presena 1916-2021: Archivio Società Alpinistica Tridentina (Natale Maculotti, Michele Ravizza)  «Al fine di rallentarne la fusione e il ritiro, sono sempre più diffusi sulle Alpi i progetti di copertura dei ghiacciai con i teli geotessili», si legge nella lettera. «Tali pratiche non rappresentano uno strumento per combattere le conseguenze del cambiamento climatico e del riscaldamento globale (…). Raccontare la copertura dei ghiacciai come una soluzione agli effetti avversi del cambiamento climatico non è soltanto sbagliato, è anche un tentativo di greenwashing per descrivere un intervento impattante sull’ambiente da numerosi punti di vista, come sostenibile e anzi addirittura auspicabile (…)».
IL REPORT

La montagna sempre più fragile. Legambiente: «Il riscaldamento globale sta cambiando le Alpi»

10 Dicembre 2021

I ricercatori sostengono che, considerati gli effetti negativi sull’ambiente e i costi proibitivi, coprire i ghiacciai con dei teli per evitare che si sciolgano durante l’estate può avere senso solo localmente per tutelare gli interessi economici legati al sfruttamento turistico. Ma non avrebbe nulla a che vedere con il contrasto al cambiamento climatico che anzi contribuirebbe ad aggravare.

«Non abbiamo mai pensato che questa fosse l’unica soluzione da adottare né che sia applicabile su larga scala» si difende Giovanni Cartapani, uno dei fondatori di Glac-Up. «Sostenibilità significa coniugare ambiente, economica e società. La sfida è trovare un equilibrio fra tutto questo. Dunque dare un futuro anche alle attività commerciali sui ghiacciai».
I DATI CMCC

Clima, come cambia l’Italia con un aumento della temperatura globale da 1,5° a 4°C

di Cristina Nadotti29 Dicembre 2021


I quattro ex studenti della Bocconi, gli altri tre sono Pietro Cimenti, Gabriele Doppiu e Sara Signorelli, si sono ispirati ad altri progetti legati alla raccolta della plastica in mare o alla riforestazione nei quali si unisce un ritorno economico e occupazionale alla salvaguardia del Pianeta e hanno deciso di applicarlo a quei ghiacciai dove l’uomo è già presente. Il primo e per ora unico intervento, è stato fatto sul ghiacciaio Presena in Trentino dove la startup ha raccolto fondi per coprire circa 2.000 metri quadrati di neve con l’obiettivo di arrivare a 120mila. Un piccolo passo, insomma, che punta in primo luogo alla sensibilizzazione.
 

La pratica di usare i teli geotessili non è nuova. Viene impiegata da anni da molti comprensori per preservare la superficie nevosa durante i mesi più caldi e consentire così di sfruttarla come pista da sci nel resto dell’anno. Lo stesso intervento di Glac-Up si è aggiunto a quello che il Consorzio Ponte di legno-Tonale già fa abitualmente. Ed è proprio questo che non è piaciuto.

«Non ho la tessera di Legambiente, sono ‘solo’ un ricercatore come gli altri», premette Renato Colucci, glaciologo del Cnr e fra gli autori della lettera. «Queste operazioni sono sbagliate sul piano etico come su quello pratico. È una pezza goffa da mettere al riscaldamento globale che, per altro, distrugge l’ecosistema dei ghiacciai. Molto meglio allora usare i teli geotessili per coprire la neve che viene raccolta d’inverno per poi usarla la stagione successiva al posto dei cannoni, come fanno a Livigno. O al limite trasformare in neve l’acqua prodotta dal ghiacciaio stesso per poi spararla nella parte alta, nella zona di accumulo. È sempre un palliativo, fa però meno danni. In realtà una delle prime cose da fare sarebbe andare alla radice del problema e ridurre le emissioni di gas serra«.

Glac-Up non è l’unico caso. C’è anche la campagna promossa da Mastercard, che per ogni transazione eseguita in Svizzera tra ottobre e dicembre 2021, ha donato alla Cover Project Foundation le risorse necessarie per coprire una porzione di ghiacciaio pari alla grandezza di una carta di credito.

Gli interventi di copertura artificiale avrebbero da un lato importanti conseguenze ambientali, generando anche scarti difficili da smaltire, e dall’altro, per motivi logistici ed economici, non potrebbero essere messi in pratica su un numero rilevante di ghiacciai. Per citare un dato, i ghiacciai italiani occupano oggi circa 360 chilometri quadrati e le azioni di copertura artificiale interesserebbero meno dello 0,08% di questa superficie. E si tratta di ghiacciai che ospitano piste per lo sci alpino o altre forme di strutture turistiche.

REPORTAGE

Ghiacciaio dei Forni, dove la fusione non si ferma

di Emanuele Bompan. Foto Alessandro Speccher13 Ottobre 2021

Chiediamo lumi ad Antonella Senese, glaciologa dell’Università di Milano, che è stata contattata dalla startup per avere un parere. Fa parte di un dipartimento, quello di Scienze e Politiche Ambientali, che è stato fra primi ad aver cominciato a studiare l’efficacia dei teli geotermici a partire dal 2009.

Sul ghiacciaio Presena la coperta che salva la neve

IL GHIACCIAIO. Si trova sul confine tra Lombardia e Trentino Alto Adige e tocca i 3 mila metri. Le immagini sono state realizzate il 7 e 8 settembre, sia quelle da terra che quelle con il drone

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Il ghiacciaio Presena di trova al confine tra la Lombardia e il Trentino Alto Adige e in vetta raggiunge i 3 mila metri. L’area viene preservata grazie all’uso di tecnologie anti-scioglimento

foto: 
MICHELE LAPINI

«Di per sé la tecnica dei teli geotermici tecnica funziona, o meglio è efficace: possono mantenere la neve da una stagione all’altra arrivando perfino al 60% in quelle che vengono definite snow farming. Ma i ghiacciai sono cosa differente essendo degli ecosistemi. Credo che il cortocircuito di tutta questa storia sia nell’aver usato il Presena come simbolo, aver parlato di adottare i ghiacciai, ed essersi associati nell’operazione con la società che gestisce gli impianti, che appunto già usava questo sistema dal 2008 per ridurre l’uso di cannoni di neve e altre tecniche più impattanti rispetto ai geotessili. Su un ghiacciaio come quello, quindi, è possibile che sia una delle soluzioni migliori in termini di costi e benefici, almeno di primo acchito perché non abbiamo dati precisi nemmeno sul rilascio delle microplastiche a lungo termine. Su un ghiacciaio naturale invece è sconsigliabile. Noi avvertimmo i fondatori di Glac-Up che un messaggio come il loro avrebbe provocato dei mal di pancia. Ma non abbiamo firmato la lettera preferendo confrontarci direttamente con i ragazzi dando per assodata la buona fede».
 

In ogni caso bisognerà poi vedere cosa succede sulla lunga distanza quando si usano teli del genere, specie a fine ciclo, per evitare scene come quelle viste ghiacciaio svizzero del Rodano. In una foto di Matthias Huss, glaciologo dell’Eth di Zurigo, i teli messi grazie ai fondi Mastercard appaiono in brandelli e mischiati al ghiaccio.

Il Ghiacciaio del Rodano, in Svizzera (foto: Matthias Huss) È leggendo un rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente che i quattro di Glac-Up hanno scoperto che entro cento anni il 90% dei ghiacciai alpini non ci sarà più. «Per questo abbiamo deciso di fare qualcosa», conclude Giovanni Cartapani. «Vogliamo crescere e per farlo siamo ovviamente disponibili a confrontarci anche con chi ci critica».
 

Vedremo se il messaggio, o forse dovremmo dire l’invito, verrà raccolto. Di sicuro l’opera di sensibilizzazione di Glac-Up non sta andando come previsto. Anche in assenza di malafede, la startup ha comunque dimostrato una certa dose di ingenuità. E il risultato somiglia ad una lezione: quando si tratta dell’ambiente e della sua difesa le buone intenzioni sono necessarie ma da sole non bastano.


En resumen lo que nos dice el artículo es:

La startup italiana Glac-Up, fundada por cuatro jóvenes graduados de la Universidad Bocconi de Milán, ha generado controversia con su proyecto de cubrir los glaciares alpinos con telas geotextiles para preservarlos durante los meses cálidos. Sin embargo, 40 investigadores y académicos italianos, incluidos miembros del Comité Glaciológico Italiano y de la Sociedad Meteorológica Italiana, acusaron a la empresa de «greenwashing», afirmando que tal práctica no representa una solución efectiva contra el cambio climático.

Los investigadores sostienen que cubrir los glaciares con telas solo tendría sentido a nivel local para proteger los intereses económicos relacionados con el turismo, pero que no contribuiría efectivamente a contrarrestar el cambio climático y podría incluso empeorar la situación. Glac-Up ha cubierto una pequeña área del glaciar Presena en Trentino, pero los investigadores consideran que esta práctica es ética y prácticamente incorrecta.

Los expertos sugieren alternativas, como el uso de telas geotextiles para cubrir la nieve recolectada en invierno y usarla en la temporada siguiente, en lugar de cubrir los glaciares. Según ellos, la cobertura artificial podría generar residuos difíciles de eliminar y no sería práctica en un número significativo de glaciares.

Glac-Up defiende su iniciativa, argumentando que busca conciliar la sostenibilidad ambiental, económica y social, dando un futuro a las actividades comerciales en los glaciares. Sin embargo, los investigadores continúan criticando el enfoque de la empresa, sugiriendo que deberían centrarse en las raíces del problema, reduciendo las emisiones de gases de efecto invernadero.

El debate también involucra otros proyectos, como la campaña de Mastercard, que donó recursos a la Fundación Cover Project para cubrir una porción de un glaciar en Suiza por cada transacción realizada. Los expertos advierten sobre las consecuencias ambientales y logístico-económicas de tales intervenciones, destacando que los glaciares italianos ocupan solo el 0,08% de la superficie total, haciendo que las cubiertas artificiales sean impracticables a gran escala.

Finalmente, la glacióloga de la Universidad de Milán, Antonella Senese, sostiene que el uso de telas geotextiles puede funcionar en pistas de esquí, pero desaconseja su uso en glaciares naturales. Se insta a la startup a considerar los efectos a largo plazo de esta práctica, especialmente en términos de liberación de microplásticos. La discusión sigue abierta, mientras Glac-Up intenta conciliar su visión con las críticas recibidas.

Entonces, ¿qué se espera obtener en Mérida con el glaciar del Humbold?

Quiero compartir con Uds., un estudio muy interesante realizado en Suiza y que muestra de manera contundente resultados medibles, científicamente obtenidos y que pueden dar una idea de lo que significa la colocación de Mallas Geotextiles en el Glaciar del Humbold, no es mi objetivo convencer a alguien sobre lo conveniente o no de utilizar estos procedimientos, cada quien que se haga su propio criterio en base a lo que se puede investigar, proceso científico que hoy por hoy es sumamente fácil gracias a la internet.

El estudio es el siguiente: (comparto enlace de acceso y documento en pdf).

Cold Regions Science and Technology

Volume 184, April 2021, 103237.

Quantifying the overall effect of artificial glacier melt reduction in Switzerland, 2005–2019

Author links open overlay panel Matthias Huss abc, Ursina Schwyn c, Andreas Bauder ab, Daniel Farinotti ab

Este estudio proporciona la primera estimación del efecto regional de la reducción activa del derretimiento de glaciares a lo largo de escalas temporales decenales. Se realiza un mapeo de los cambios temporales en las áreas cubiertas por geotextiles en los nueve sitios donde actualmente se aplica esta técnica en los Alpes suizos. Se encuentra un aumento sustancial en las áreas cubiertas por geotextiles desde 2005.

En 2019, la superficie cubierta con geotextiles era de 0.18 km², equivalente al 0.02% del área total de glaciares en Suiza. La eficiencia en la reducción del derretimiento, derivada de un metaanálisis de estudios previos, fue del 59% bajo los geotextiles recién instalados. La combinación con tasas de fusión anuales medidas en áreas no cubiertas permite estimar el volumen total de hielo salvado por intervención artificial en Suiza.

En 2018 y 2019, se salvó más de 300,000 m³ año⁻¹ de hielo, lo cual es muy pequeño en comparación con la pérdida total de masa de glaciares suizos en esos años (0.03%). La información directa sobre los costos de compra, instalación y mantenimiento de la cobertura de geotextiles se utilizó para calcular el costo de salvar 1 m³ de hielo glaciar mediante reducción artificial del derretimiento. Se encontró una alta variabilidad de precios, entre 0.6 y 7.9 CHF (Francos Suizos) por metros cubico de hielo (m³) al año (promedio 2010-2019), dependiendo del tipo de instalación y la ubicación de la cobertura.

Los elevados precios indican el considerable valor económico de los glaciares en áreas alpinas elevadas y explican los esfuerzos considerables para protegerlos localmente los glaciares. El estudio destaca la reducción del derretimiento de glaciares a nivel local, crucial para la operación de pistas de esquí u otras atracciones turísticas. Sin embargo, sugiere que la ampliación de la cobertura de geotextiles a una escala mayor no es factible ni asequible, con impactos excepcionales tanto en el paisaje como en el medio ambiente.

Se hace un llamado a una clara separación entre la reducción del derretimiento de glaciares a nivel local, razonable y económicamente rentable, y aplicaciones teóricas a gran escala. Se enfatiza que buscar soluciones tecnocráticas para salvar glaciares a gran escala no debe ser una prioridad en comparación con los esfuerzos para mitigar las emisiones de CO2, ya que reducir las emisiones de gases de efecto invernadero es la única manera eficiente de limitar el calentamiento atmosférico futuro y, por lo tanto, reducir las tasas de pérdida de masa glaciar a nivel global.

El articulo científico agradece el financiamiento de varias instituciones y se declara la ausencia de conflictos de interés relacionados con los resultados presentados. Se expresan agradecimientos a los operadores responsables de la cobertura con geotextiles en Suiza y a quienes proporcionaron datos y apoyo para el estudio.

Sibyl y su equipo de trabajo me envian la siguiente opinion y que comparto en su totalidad: En lo que respecta a la cobertura de los glaciares, se puede resumir como: “Pflaeschterlipolitik”. O más concretamente: a corto plazo y a nivel local, la cobertura mediante la reducción de la radiación solar definitivamente tiene un efecto. Sin embargo, su aplicación a gran escala no tiene sentido ecológico ni económico.

La palabra «Pfläschterlipolitik» es de origen Suizo y se ha extendido su uso en Alemania, hace referencia a describir acciones que no abordan un problema de manera integral.  Es lo que nosotros llamamos aquí «POTE DE HUMO»

Insisto, no es mi intención convencer a nadie de lo bueno o lo malo de las acciones que se acometerán en Enero en nuestro glaciar, pero si creo conveniente expresar mis puntos de vistas, como alguien que ha vivido ese pedazo de terreno que hoy tiene sus días contados, es preferible dejar morir con su gloria a quien ha cumplido su ciclo vital y a los dioses les agradezco haberme permitido disfrutar durante tantos años esos maravillosos paisajes.

Pero Italia también tiene que decir sobre las mallas Geotextiles, esa será mi próxima entrada.

Torre Cóndor vista desde la ruta Noroeste
Pico Bompland visto desde la cumbre del Humboldt, restos del glaciar universidad
Restos del Glaciar Universidad

Hacíamos casi de todo en el Glaciar del Humbold y digo «casi» porque sí hubo algún deporte invernal que no se practico fue el sky y el snowbording, a pesar de que en Mérida tuvimos en los años 90 del siglo pasado varías tablas profesionales de snowbording así como varios practicantes de dicho deporte de origen europeo que hicieron parte de su vida en nuestras montañas.

Es complicado hacer ejercicio físico a 4500 metros, el hecho de cargar una tabla durante dos días en la espalda hacía fracasar cualquier intento por lanzarse en el glaciar del Humbold con tablas o skis, muchos se decantaron por lanzarse con esas tablas desde el Pico Pan de Azúcar, donde lo hice un par de veces (en alguno de mis discos duros deben estar esas fotografías) haciendo una variante que llamamos Sandbording pues nos lanzábamos en los arenales de la Culata.

Los años 90 del siglo pasado fueron especialmente ricos en actividades montañeras, en mi caso hubo meses en los que a veces estaba 4 o 5 veces en la sierra con turistas en su mayoría extranjeros.

Mi voluntariado como miembro del Grupo Andino de Rescate fue particularmente abundante en actividades de montaña, salíamos cada Carnaval y Semana Santa a prestar apoyo ante cualquier situación de emergencia que se presentará (y no fueron pocas), a los diferentes Rescates y Operaciones de Búsqueda en Alta montaña O SIMPLEMENTE A MONTAÑEAR, a disfrutar del aire puro y la libertad que te dan los espacios naturales de la sierra nevada de Mérida; eso si, salíamos con los morrales repletos de equipos pues cada salida era una formidable oportunidad para practicar progresión en cordadas, la escalada en placas de hielo, colocación de tornillos, nudos, técnicas con cuerdas, anclajes en hielo así como la apertura de rutas que durante muchos años no habían sido transitadas.

Tengo especial recuerdos de dos oportunidades que marcaron mi vida en el glaciar, en una casi muero en la pared de Los Hielitos y en otra, ya entrado el año 2002, recorriendo el glaciar con mi pareja del momento, la Geografa Sibyl Brugger, presenciamos por primera vez lo que fue el derretimiento de la pared de Los Hielitos, esa misma pared en la que años anteriores casi muero; creo que relatar ambas situaciones les dará la idea de lo impresionante que era el glaciar y lo dramático que fue empezar a ver el proceso de deglaciación con una, para entonces, estudiante del Instituto de Avalanchas de Zurich.

Escalada en Los Hielitos.

Vista de la ruta normal del Humboldt, desde Laguna El Suero, se observan la Muralla Roja y el último vestigio de hielo en Los Hielitos
Ruta a Los Huesitos desde la parte superior del glaciar

Los Hielitos era un sector del Glaciar Universidad cercano a Muralla Roja, una pared vertical de hielo que tenia a sus pies una pequeña laguna de agua color turquesa, estimo que la altura de la pared de hielo era de unos 25 o 30 metros, hielo compacto genial para hacer escalada en hielo, reuniones en pared, practica de anclajes para hielo, colocación de tornillos, uso de piolet y sus técnicas de ascenso y progresión.

Año 1997, subimos aquella Semana Santa a la Laguna Verde para hacer el Operativo de Prevención en nombre Grupo Andino de Rescate: Julio Olivari, Carmencita, El Zumbao (no recuerdo el nombre), Dilfran Larez y mi persona.

Decidimos subir por Muralla Roja a escalar y practicar, nuestros sueños eran tener la practica suficiente para salir a escalar al exterior, llevamos equipos en demasía, pero nuestras condiciones físicas eran muy buenas, podíamos cargar 20 o 25 kilos por día con tal de hacer una buena escalada.

Una vez instalados en el campamento decidimos las parejas para la cordada del día siguiente, el objetivo era escalar Los Hielitos, atravesar todo el Glaciar Universidad y Posteriormente subir a la cumbre del Humbold, mi pareja fue Dilfran.

A las 5 am partimos remontando la cuesta que lleva a la Laguna El Suero, de allí fuimos al encuentro de la roca pulida, Muralla Roja, tomamos la ruta izquierda que estaba más seca y se mostraba menos peligrosa, nadie conocía el camino exacto así que viendo la ruta y alguno «mojones de piedra» fuimos desviándonos a la derecha de la quebrada que forma el deshielo del glaciar, dimos valor a aquello que nos decían los instructores, primero escala con la vista, después pon tus pies y manos.

A las 9 aproximadamente llegamos a la base del glaciar, era impresionante, alguien de 1.72 metros no se distinguía ante la inmensidad del blanco con algunos surcos azules de esa pared, lo extraordinario, lo que muchos en la ciudad quisieran ver, tocar, sentir, nosotros lo teníamos a nuestros pies.

Julio y Carmen deciden hacer sus practicas en la parte baja del Glaciar, Dilfran y yo decidimos practicar progresión sobre el hielo, la ruta consistía en subir la pared inmediata para de allí llegar a Los Hielitos y continuar hasta la parte mas plana del Glaciar, llamado Glaciar Universidad la cual nos llevaría directo a la Cumbre, todo era un mar de hielo y nieve, el glaciar se extendía desde la base del Bomplad hasta más abajo de la cumbre, incluso mucho mas abajo de Torre Cóndor, el estimado en hacer la ruta era de 4 horas.

Nos ponemos los arnés, desentorchamos la cuerda, preparamos los piolets (dos cada uno) y nos amarramos los crampones, casco en la cabeza y nos unimos a la cuerda, Dilfran de primero abriendo la ruta yo iba a desmontar los tornillos y anclajes, estimábamos una escalda limpia y hermosa en una pared casi vertical.

A la media hora de haber iniciado, mirando atrás lo ascendido, nuestra moral y confianza crece, Dilfran quería ir mas rápido, yo quería ir mas lento, haciendo bien mis maniobras en un intento por grabar en mi memoria cada movimiento, llegamos a un sector plano, una repisa en el hielo, no mayor a 5 metros, muy cómoda, allí decidimos parar y descansar, ajustarnos los equipos para continuar, Dilfran me pregunta como iba, le digo que bastante bien, que la pared es «arrecha», Dilfran deja escapar una propuesta a todas luces descabellada, impropia de una actividad en cordada, propone que sigamos sin la cuerda, que no sigamos encordados, algunas cavilaciones rápidas y una actitud «idiota» me hace aceptarle la propuesta, así que nos separamos y él se lleva la cuerda, la sentencia de muerte esta preparada para alguno de los dos.

Dilfran se va a la izquierda, yo sigo por la ruta que habíamos visualizado desde el principio a la derecha, logre avanzar sin dificultad durante unos 20 minutos, me estaba adentrando en la parte más azul y vertical de la pared, así que decido desviarme a la izquierda, progresaba en posición vertical con mi pie izquierdo anclado en el hielo, luego movía mi brazo izquierdo para enterrar el piolet, después de esos dos movimientos debía decidir que mover de mis extremidades derechas así que las alternaba dependiendo de la dificultad que me encontraba, siempre dejando bien firmes tres puntos de apoyo, no fue muy difícil en verdad hacer ese recorrido pero el cansancio estaba llegando, observo arriba de mi una pequeña repisa de no mas de un metro, quiero llegar allí, muevo mis extremidades y al momento de anclar mi crampon izquierdo este sale de bota y rueda cuesta abajo, mis reflejos fueron rápidos así que intento mantener mis extremidades derechas estables y buscar el equilibrio, lo logro pero al intentar llegar a la repisa, lanzo mi piolet derecho y este rebota, me di cuenta del grave error cometido desde el principio al no tenerlo asegurado a mi arnes, el piolet corre la misma suerte del crampon, quedo solo enganchado del piolet izquierdo y el crampon derecho. No recuerdo como lo hice pero mantuve la calma nuevamente y enterre mis dedos de la mano derecha en el hielo, de inmediato una columna roja empezó a pintar ese sector del glaciar, la sangre salía de mis dedos, no tenia ningún tipo de dolor y mis nivele de adrenalina estaban por las nubes. No recuerdo las maniobras que hice, solo recuerdo que en algún momento estaba sobre la repisa, con mis manos rotas y con solo un crampon y un piolet, estaba vivo pero inmensamente expuesto a una caída en una pared vertical de hielo, tenia la muerte aún respirandome a la espalda.

Desde la repisa observo todo el panorama, hielo arriba, abajo, a la derecha a la izquierda, mis dedos goteando sangre y el corazon acelerado, logre visualizar a Julio en el inicio del glaciar, estaba acostado, disfrutando del sol, Carmencita estaba en el glaciar. Hago algunos cálculos rápidos que incluía la posibilidad de lanzarme por la pared de hielo, concluyó que era una muerte segura, las velocidades sobre una superficie pulida como el hielo son extremas, ya las había experimentado en practicas de detención ante caídas en el Glaciar Timoncito del Pico Bolívar.

Decido entonces gritar, llamar la atención de Julio y Carmen, cosa que logre después de un buen rato, Julio, personaje particular con una personalidad excepcional y humor negro exquisito logra escucharme:

  • ¿Qué paso Juancito?
  • ¡Me quede pegao!, grito yo al viento con la esperanza el eco hiciera su trabajo.

Una carcajada típica de Julio, impregnada de ese humor negro propio de quien intenta ser lo mas sincero posible se escucha en todo el glaciar con un tradicional «mamaguebo».

Desde lo alto explico a Julio y Carmen lo sucedido, les pido que avisen a Dilfran pues él tiene la cuerda con la cual podría bajar sin problemas, Dilfran estaba mucho mas arriba y de alguna manera logra escuchar los gritos, se asoma y Julio y Carmen les explica lo sucedido, media hora mas tarde supongo yo, escucho a Dilfran arriba de mi, me da indicaciones que hará un anclaje con su piolet y desde allí lanzara la cuerda para que baje anclado, el proceso de anclaje de la cuerda dura unos 15 minutos, al lanzarme la cuerda y anclarme a ella le sonrió suavemente a la muerte y gestualmente moviendo mi cabeza en sentido de negación le digo: ¡hoy no!.

Bajo sin problemas, iba recogiendo el piolet y los crampones que estaban en la pared, tocar la piedra con mis pies fue un alivio enorme, los niveles de adrenalina bajaban y empezaba a temblar, no de frio, sino de miedo, temor que se amortiguaba con las expresiones de Julio que me hacían reír y ver las circunstancias de otra manera; «uy mamaguebo casi se lo lleva la pelona jajajajajajajajajajajaja» fue una de las que mas risa me dieron.

El análisis post rescate, la imprudencia juvenil, el hecho de llevar encima una franela prestigiosa y de tanto respeto en el mundo montañero y de rescate (la franela del Grupo Andino de Rescate) me llevaron a realizar el ascenso de la misma pared al día siguiente, esta vez con el zumbao, otro compañero del grupo; yo estaba más seguro, decidido y motivado, así que escalamos la pared encordados sin problemas, haciendo los anclajes necesarios, llegando al Glaciar Universidad a los pies del Pico Bompland, caminando y escalando por esa inmensidad blanca casi tress horas hasta llegar a la cumbre del Humbold descendiendo por la ruta de la NorOeste directo a la Laguna Verde, fue una escala excepcional donde pude mostrarme mis habilidades y destrezas, donde rete al miedo y traumas del día anterior, el jubilo de esa noche en el campamento fue grande, solo me preocupaba seguir cuidando mis manos que estaban rotas y con heridas abiertas, había conquistado el Humbold en su plenitud.

Sibyl y el Humbold.

Descansando en Mesa de Los Pinos vía el Humboldt
Sibyl en una practica de escalada, probando anclajes en el hielo

Sibyl es Suiza, vino a conocer nuestro país y quedo prendada, iba y venia, tuvimos una relación muy bonita, inmadura por el hecho de ser tan jóvenes pero que disfrutamos muchísimo haciendo viajes y excursiones por toda nuestra Sierra Nevada, Sierra de la Culata y en gran parte de Venezuela.

Sibyl empezó a estudiar en el Instituto de Avalanchas de Suiza y en 2002 vino por ultima vez a Venezuela, hicimos varias excursiones entre ellas una para El Humbold.

En esa excursión de 4 días solo estábamos en la Sierra ella y yo, fue como una de esas excursiones especiales, sabíamos que iba a ser la ultima vez que nos veríamos en las montañas, teníamos sentimientos encontrados pero ninguno se atrevió a decir nada, solo vivir el momento.

El día de la cumbre lo hicimos por la ruta NorOeste, ésta sale directamente de la Laguna Verde, atraviesa un pequeño bosque de coloraditos y un derrumbe de piedras negras hasta llegar al Glaciar, en ese tiempo mucho mas abajo de Torre Cóndor, bloque de Piedra que sobresalía entre el blanco del hielo y que era la puerta a la ruta norte del Humbold, que contaba en esos tiempo con bastantes paredes verticales.

Al llegar al glaciar subimos escalando una enorme barriga de hielo, era lo mas difícil, pero superarla era lento y trabajoso por la altitud y sus efectos en la respiración, superada la barriga de hielo se llagaba al Glaciar Universidad, inmenso, cubría casi de manera plana hasta la base del pico Bompland.

Llegamos a la cumbre del Humbold a las 11 am, nos tomamos las fotografías y empezamos a descender, pero esta vez decido tomar la ruta normal o la ruta de la Laguna El Suero, Sibyl no la conocía así que era genial pues sus primeras materias en la Universidad le hacían sentir curiosidad por la morfología de la Sierra Nevada.

Atravesamos en glaciar Universidad en descenso y empezamos a tomar las piedras casi en dirección a los Hielitos, recordaba la ruta pero el paisaje era totalmente diferente, era verano así que pense que había menos nieve y con seguridad no iba a seguir el mismo camino de años anteriores, mi sentido de orientación desarrollado a través de decenas de ascensos y descensos empezó a funcionar.

A lo lejos vi Los Hielitos así que nos fuimos hacia allá, calculaba que después de allí solo debía buscar el camino marcado por «mojones» hasta conseguir la vía hacia la Laguna El Suero.

El terreno era distinto en su totalidad, lugares donde había hielo y nieve ya lo lo tenían, eran caminos nuevos así que ponía «·mojones» para marcar la ruta por si acaso debía regresarme, brincando la roca limpia y pulida llegamos a Los Hielitos.

Inmensidad del Glaciar Universidad, principio del año 2000
Grietas, cuevas, derretimiento del hielo, todo era un caos en el glaciar a principios de la decada del 2000

No era nada de lo conocido por mi, la pared que había escalado años atrás estaba totalmente destruida, en la parte superior de la Laguna había una cueva inmensa azul y blanca desde donde salían crujidos y feroces estruendos constantemente, allí mismo el hielo caía directamente al agua, era como un serac de esos que vemos en la TV o fotografías de NG.

En realidad era una espectáculo horrible, se estaba derritiendo la pared de Los Hielitos y por como veía las cosas un gran fragmento de hielo iba a caer en la Laguna de un momento a otro, Sibyl reacciona con preocupación, quería salir del lugar de inmediato, recuerdo que ella logro tomar algunas fotografías, me explicaba lo peligroso que era estar en un lugar donde hay una laguna y el derretimiento de un glaciar, que en Suiza han habido situaciones similares y se manda a evacuar a la población. Yo solo atine a decirle que estaba exagerando un poco, lo que la molesto, en verdad yo estaba impresionado por el cambio drástico de paisaje.

Hicimos el descenso rápido, Sibyl estaba realmente preocupada, incluso cuando llegamos a la Laguna Verde me pidió que siguiéramos descendiendo pues ese pedazo de hielo si caía en la Laguna Los Hielitos iba producir un desastre y nosotros íbamos a ser arrastrados por la corriente de agua, lodo y piedras que generaría; logre convencerla a quedarnos en la Laguna Verde y al otro día bajar temprano para notificar a INPARQUES.

Así lo hicimos, fue una noche donde Sibyl seguía comentandome sobre situaciones de aludes por derretimiento de Glaciares o masas de hielo, creo que durmió poco, al día siguiente bajamos y notificamos a los Guardaparques, Olinto nos recibió, él lo tomó con menos preocupación que yo.

Sin planificarlo, sin premeditarlo fuimos testigos del proceso acelerado de deglaciación del Glaciar del Humbold, Sibyl tenía toda la razón en sus preocupaciones basadas en los aprendizajes en un país que ha sufrido durante siglos de este fenómeno, sus preocupaciones poco valoradas por gente de este continente, con una memoria colectiva tan corta en el tema de glaciares, la hizo encolerizar, pese a todo, fue una excursión hermosa y hoy la veo con ojos de tristeza al ratificar que fui testigo de unos de esos momentos radicales de cambios de panorama sobre la superficie de nuestro planeta.

21 años después me he vuelto a comunicar con Sibyl, hemos recordado aquellos momentos llenos de energía, sentimientos y emociones, en esta oportunidad hemos hablado nuevamente del Humbold y desde el punto de vista profesional me ha dado algunas informaciones y datos que me ayudaran a entender lo que está pasando en nuestro maravilloso Parque Nacional Sierra Nevada así como conocer lo que están haciendo en Suiza para proteger los glaciares, igualmente con el apoyo de Sara, ex compañera con quien pise también esos glaciares y otros en América Latina y Europa intentare dar una idea clara sobre la colocación de las mallas GeoTextiles, las cuales, por mas que se proteste, ya son un hecho su colocación.

De esto hablaré en mi próxima entrada.